“We want sex” (originalmente titolato “Made in Dagenham”) è un film indipendente inglese, ambientato nel 1968, che racconta la lotta di Rita O’Grady e delle sue 186 colleghe operaie presso le fabbriche Ford di Dagenham, per l’ottenimento della parità di retribuzione (che garantisce lo stesso salario a uomini e donne indipendentemente dal sesso).
Le donne lavoratrici, costrette a condizioni di lavoro precarie, combattono la piaga del sessismo, al fine di poter essere trattate e considerate allo stesso modo degli uomini, esse sono mosse dalla rabbia e il rancore accumulato nel corso degli anni, anni di ingiustizie e umiliazioni.
È una rivoluzione che parte dall’interno della fabbrica: le operaie, chiuse in un sotterraneo per nulla idoneo alle condizioni di lavoro, guidate da Rita O’Grady, una di loro, cominciano a scioperare per protestare contro il sistema obsoleto in cui vivono, fermando così tutta la fabbrica, e mettendo i loro superiori davanti ad una scelta: garantire uguali salari fra uomini e donne, oppure vedere la loro impresa fallire sotto i loro occhi. Spinte dal desiderio di poter vivere una vita senza ingiustizie, fanno scalpore nella penisola britannica e poi nel resto del globo, riuscendo ad ottenere il supporto del ministro inglese Barbara Castle, che le affiancherà nella lotta contro un sistema maschilista e di mentalità arcaica.
Intrecciate alla trama centrale del film ci sono altre piccole storie che ancora di più mettono in risalto questo bruciante desiderio delle donne di cambiare la situazione in cui stanno vivendo. Storie di donne intelligenti e formate che non vengono mai prese sul serio, storie di mogli che dovrebbero essere grate verso i mariti perché trattate bene, quando questo dovrebbe essere non un privilegio ma un diritto indiscusso, storie di oneste lavoratrici che non vengono calcolate dai loro superiori solo perché sono nate femmine. Alla fine, diventa una grande battaglia che coinvolge tutti, nessuno ne rimane fuori, chiunque può imparare.
Un elemento particolarmente interessante nella storia è la figura del ministro Barbara Castle, una donna potente che sa come farsi rispettare e che non si ferma davanti a nulla, e che, per fortuna, si allea con il gruppo di attiviste. Sorge quindi questo grande senso di sorellanza tra tutte le coinvolte, anche se non si conoscono bene (come per esempio il rapporto tra Rita e Lisa Hopkins), sono bloccate nella stessa situazione e si sostengono a vicenda per abbattere un nemico comune, in questo caso l’ingiustizia.
La risposta che queste manifestazioni e scioperi ricevono sono oramai prevedibili, i potenti che si sentono minacciati si arrabbiano, s’infuriano, e in tutti i modi cercano di fermare quello che sta succedendo; hanno paura.
Grazie però, alla perseveranza di queste ragazze, all’appoggio dei sindacati e del ministro, l’obbiettivo impostato viene finalmente raggiunto nel 1970, quando viene affermato per legge che nel Regno Unito le donne hanno diritto allo stesso salario degli uomini.
Il film mi è piaciuto molto, poiché, nonostante la durata (di quasi due ore), non ci sono mai momenti in cui diventa noioso, è facile da seguire e coinvolgente. Anche il tema non è da poco, nonostante racconti di fatti accaduti più di cinquant’anni, affronta un discorso che, purtroppo, è ancora attuale, ovvero quella della discriminazione del sesso femminile, e le ingiustizie poste verso di esso.
Consiglio vivamente a tutti di guardarlo, insegna tante cose interessanti e riesce, in un qualche modo, a dare speranza, a tutte quelle persone che ancora oggi lottano per un mondo più giusto.
Ally Kohler
Questo articolo è apparso nell’8° numero de L’Altrascuola (speciale coronavirus), pubblicato nel maggio 2020. Leggi qui il numero integrale.