Recensione di “Charles mort ou vif”, di Alain Tanner 1969, 94’. Proiettato al 72imo Locarno Film Festival nella categoria “Histoire(s) du cinéma”.
“Charles mort ou vif” è stato proiettato a Locarno in una sala affollata da spettatori svizzerotedeschi ed attempati. Al contrario della pellicola, che invece è stata recentemente restaurata dalla Cineteca Svizzera. In questo classico del “nuovo cinema svizzero” Alain Tanner mette in scena la sua contemporaneità, con capovolgimenti, maschere, cambiamenti di ruolo. È il carnevale della Svizzera negli anni della “contestazione giovanile”. Nella compassata confederazione ‘68ina il protagonista vive un ribaltamento carnascialesco, forse come la società stessa.
Charles, ginevrino, colto, padrone di una fabbrica d’orologi vive una crisi d’identità, spirituale, politica. Egli scappa dall’impresa di famiglia e va a vivere in campagna con una coppia di artisti. Sua figlia è studentessa in lettere e dunque, inevitabilmente; riottosa. Al figlio businessman, non più in stile calvinista bensì in stile americano, viene lasciata la fabbrica. Insieme alla fabbrica il protagonista dimentica anche gli operai. L’erede di Charles ingaggia un investigatore privato per ritrovare il fuggiasco, per poi condurlo in un istituto psichiatrico.
Un leggendario aneddoto dice che il lussuoso cappotto di Giangiacomo Feltrinelli venne rubato da un dipendente. Il ricco editore di sinistra aveva appena concluso un discorso contro la proprietà privata. Lo stesso accade – nel film – all’automobile del capitano d’industria: l’amico pittore spinge il veicolo di lusso in un fossato. Il nuovo freak Charles aveva appena finito di elencare i problemi ecologici e sociali causati dalle auto. È con questi ironici episodi che il film evidenzia il conflitto tra l’industriale e il “nuovo uomo” ospitato dagli artisti.
Il film non traccia dunque un’apologia degli scombussolamenti ‘68ini. Si tratta invece di una buona fotografia della realtà. Nel suo ritiro in campagna egli si disinteressa completamente del destino dei suoi dipendenti e delle conquiste sociali e civili di quegli anni. La pellicola anticipa di due anni l’ottenimento del suffragio universale del ’71, ma questa notizia non tocca minimamente i tre freak auto-esiliatesi in campagna. Lo spettatore si chiede dunque: quali valori conserva Charles, quelli “alternativi” del travestimento oppure quelli borghesi delle origini?
Il soggiorno alternativo di Charles è interrotto bruscamente da un episodio, ancora, carnascialesco. Il film si conclude dunque con un ultimo, comico scambio di ruoli: il malato diventa il sano, il sano si maschera d’ammalato, la polizia diventa l’ambulanza. Lo spettatore sappia giocare con queste maschere, per trovare nel film ironia, divertimento e verità.
Mattia Passardi
Questo articolo è apparso nell’8° numero de L’Altrascuola (speciale coronavirus), pubblicato nel maggio 2020. Leggi qui il numero integrale.