Origine sociale e qualità dell’apprendimento: davvero tutti hanno le stesse possibilità?

Durante queste settimane di quarantena in cui è stato chiesto agli studenti di seguire le lezioni online sono emersi alcuni problemi legati alle differenze economiche tra le varie famiglie come ad esempio la presenza di più studenti sotto lo stesso tetto ma di un solo computer disponibile per tutti, differenze queste che possono avere un impatto importante sulla qualità dell’apprendimento dei diversi studenti.

Sulla base di ciò ho iniziato a ragionare su come l’origine sociale di uno studente e le possibilità economiche della sua famiglia possano influenzare la qualità del suo apprendimento.

Diversi studi hanno infatti dimostrato che gli studenti provenienti dalle classi medio-alte hanno solitamente dei migliori risultati scolastici, mentre quelli che provengono dai ceti meno abbienti hanno più difficoltà e nel loro caso il tasso di bocciature e abbandono scolastico è molto maggiore, questo perché le ristrettezze economiche hanno un forte impatto innanzitutto sui genitori.

I genitori sono quelli che prima di tutti, anche prima della scuola, impartiscono ai giovani un’educazione ed è evidente che in base alla loro situazione socio-economica e a come essi la vivono, il loro stile educativo cambia così come la possibilità di aiutare efficacemente i figli durante il loro percorso scolastico.

Mentre le famiglie più ricche riescono a dedicare una maggiore attenzione ai risultati scolastici dei figli e hanno la possibilità di offrirgli tutta una serie di stimoli culturali extra-scolastici, i genitori meno facoltosi spesso hanno un basso livello di scolarizzazione e per questo non dispongono dei mezzi per aiutare i figli. Inoltre, sono solitamente stressati dalla loro situazione economica, trovandosi spesso distanti da casa a causa di lunghe giornate di lavoro, affrontate spesso da entrambi i genitori per riuscire ad arrivare alla fine del mese. Per questi motivi tendono a concentrarsi maggiormente sul fornire ai figli i beni di prima necessità, percepiti come la grande mancanza e quindi la priorità, che non sulla loro educazione scolastica.

I genitori appartenenti alle classi meno abbienti soffrono della loro situazione, si sentono costantemente sotto pressione e ad influire su questo stato di malessere vi è anche il senso d’abbandono causato dalle politiche sociali messe in atto dallo Stato, percepite come non sufficienti o poco efficaci. Non si può quindi imputare interamente a loro la responsabilità dei problemi scolastici dei figli, questi sono invece alimentati dal contesto sociale e dall’apparato istituzionale che li costringe in questa situazione.

È stato dimostrato infatti che nei paesi in cui gli aiuti da parte dello Stato sono importanti ed efficaci, questi riescono a livellare le differenze economiche date dall’estrazione sociale. In quei contesti infatti, nonostante le possibili difficoltà economiche derivate dal loro stato di povertà, i genitori riescono ad educare correttamente e a mettere in atto delle strategie educative efficaci per il corretto sviluppo psico-fisico dei loro figli.

Alla stessa maniera la scuola svolge un ruolo importante perché funge da luogo di socializzazione e in cui si possono trovare dei punti di riferimento fondamentali per la vita. I genitori sono i primi educatori e il primo esempio che i giovani hanno per costruire la propria identità e il proprio percorso, ma subito dopo di loro sono i docenti che si occupano dell’educazione dei giovani e che hanno il compito di indirizzarli e aiutarli nel trovare il loro percorso sia scolastico che di vita. Per questo il docente spesso non ricopre solo la figura di educatore ma diventa un esempio da seguire e imitare. Ecco che diventando una figura educativa di riferimento ed instaurando un rapporto umano oltre che educativo con i suoi studenti, il docente può farsi cosciente delle differenze che ci sono tra gli studenti appartenenti a diversi ceti sociali. Sulla base di questa presa di coscienza può quindi attuare delle strategie volte ad appianare queste differenze per dare a tutti le stesse chance. In questo modo la scuola diventa un luogo di scambio e di arricchimento in cui tutti acquisiscono i mezzi necessari per poter raggiungere lo stesso obiettivo. Queste condizioni facilmente attuabili nella scuola “in presenza” rischiano però di non potersi facilmente verificare nella scuola a distanza. Per salvaguardare il ruolo sociale e di incontro che ricopre la scuola così come la conosciamo (pur tenendo conto dei suoi limiti), ritengo che la scelta migliore sia intendere questo esperimento di scuola a distanza come quello è, ovvero una misura straordinaria e temporanea atta a superare una crisi specifica, e non un banco di prova per un futuro cambiamento che rischierebbe di portare più svantaggi che benefici.

Sarah Sbabo


Questo articolo è apparso nell’8° numero de L’Altrascuola (speciale coronavirus), pubblicato nel maggio 2020. Leggi qui il numero integrale.


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