Risoluzione dell’Assemblea generale del SISA del 2 ottobre 2021
Dopo qualche anno di relativa calma, si torna a parlare di “manovre di rientro”, di “sacrifici necessari”, di “scelte difficili”. Il Preventivo 2022 ed il Piano finanziario fino al 2025 presentati dal Consiglio di Stato lasciano presagire l’inizio di una nuova stagione di tagli alla spesa pubblica: da destra si esclude infatti qualsiasi aumento delle entrate e si invoca invece una riduzione delle uscite, fregandosi le mani per la nuova occasione di riprendere la demolizione più o meno controllata dello Stato sociale in Ticino. Sappiamo bene cosa ciò significhi per la scuola e gli studenti: durante l’ultima “manovra di rientro”, abbiamo assistito ad attacchi alle borse di studio, a gravi tagli dell’offerta formativa (con la soppressione di interi percorsi di studi, di corsi facoltativi ed opzionali, ecc.), ad aumenti delle rette scolastiche, ecc. L’assemblea generale del Sindacato Indipendente degli Studenti e Apprendisti (SISA), riunitasi sabato 2 ottobre a Locarno, si oppone con decisione a queste prospettive e rivendica invece una diversa risposta al “problema fiscale” che sembrerebbe attanagliare il nostro Cantone.
Occorre prima di tutto chiarire che il disavanzo preventivato per l’anno prossimo, così come quelli previsti per gli anni successivi, non possono essere attribuiti unicamente alla pandemia, ma vanno messi a carico degli innumerevoli sgravi fiscali adottati negli ultimi anni, che hanno sensibilmente ridotto le entrate dello Stato e dunque anche la sua capacità di fare fronte alle spese correnti. Inutile dire che le ulteriori proposte di riduzione della pressione fiscale per i grandi patrimoni (come quella recentemente avanzata dal PLR) non farebbero che aggravare il problema. Il primo fronte d’intervento dev’essere dunque quello fiscale: il Parlamento deve far passare alla cassa coloro che non solo non sono stati toccati dalla pandemia, ma sono addirittura riusciti ad arricchirsi, ossia i grandi patrimoni e le grandi aziende. La ricetta “meno imposte = più investimenti e più posti di lavoro” ha dimostrato tutta la sua fallacia: occorre dunque un cambio di rotta che garantisca allo Stato le risorse per fare fronte ai bisogni della popolazione!
Ma a preoccuparci maggiormente sono le sirene del “meno Stato”, che in realtà mai hanno smesso di cantare la propria litania sull’improduttività dell’ente pubblico, sul contenimento della spesa statale, sulla presunta efficienza del mercato. Costoro – a fronte di un prevedibile aumento del debito pubblico – tornano ad invocare misure di risparmio “in tutti i Dipartimenti” e dunque in tutti gli ambiti dell’amministrazione pubblica: dalla socialità alla sanità, dall’istruzione ai trasporti pubblici. Si tratta di uno scenario deleterio ed estremamente preoccupante, che riprende le ricette del passato sulle presunte virtù del mercato e sulla necessità di ridurre l’indebitamento pubblico: in periodo di crisi, crediamo invece che lo Stato possa e debba indebitarsi! Il meccanismo del freno al disavanzo – già sospeso lo scorso anno senza drammi di sorta – deve essere abrogato e sostituito da un intervento pubblico anti-ciclico spalmato su più anni, che punti ad una maggiore redistribuzione della ricchezza, ad un rafforzamento del servizio pubblico e alla creazione di nuove opportunità professionali per le giovani generazioni.
La scuola può (e deve) giocare un ruolo centrale in tutto ciò: con il potenziamento delle borse di studio e dei sussidi agli studenti (ad es. per il trasporto pubblico), con la riduzione degli allievi per classe, con l’assunzione di un maggior numero di figure di sostegno (docenti d’appoggio, logopedisti, psicologi, ecc.), con l’edificazione di nuove scuole e la ristrutturazione di quelle esistenti, tutti gli obiettivi di cui sopra possono essere raggiunti!