Poco dopo la chiusura delle scuole decretata dalle autorità, le studentesse e gli studenti hanno dovuto confrontarsi con delle più o meno nuove modalità di “insegnamento a distanza”, impartito in prevalenza attraverso delle apposite piattaforme digitali. Il SISA, da subito in prima linea per garantire il diritto allo studio anche durante la pandemia, ha visto soddisfatte numerose delle sue rivendicazioni (leggi qui): le piattaforme utilizzate sono in buona parte “open source”, i ritmi scolastici sono stati rallentati e le verifiche sospese fino alla fine della crisi sanitaria. Affrontate le questioni più urgenti, occorre però interrogarsi ora anche sui problemi posti da questo nuovo tipo d’insegnamento, basato essenzialmente sulle nuove tecnologie digitali, per comprenderne tanto le opportunità quanto i rischi per noi studenti. Non è infatti da escludere che questo periodo di insegnamento a distanza venga poi sfruttato per mantenere alcuni aspetti di questo modello anche una volta tornati alla “normalità”. Ricordiamo in tal senso che il parlamento cantonale ha approvato lo scorso anno un credito da quasi 50 milioni di franchi per “digitalizzare” la scuola ticinese: la volontà politica è chiara, meno chiare sono invece le conseguenze per gli studenti.
Le multinazionali digitali all’arrembaggio
Che la scuola pubblica sia stata da tempo identificata come terreno fertile per l’economia privata non è una novità: le possibilità di realizzare profitti, “educare” i giovani consumatori e formare al meglio i futuri lavoratori sono enormi e i ricchi del pianeta se ne sono accorti da un pezzo. La novità di questi ultimi anni è la potente offensiva delle multinazionali digitali (Google, Microsoft, Apple, Facebook, ecc.) per conquistare la scuola pubblica, della quale abbiamo già riferito in passato (leggi qui). Gli esempi di questa strategia sono già noti, specialmente oltreoceano: grazie ad un’abile campagna commerciale messa in campo nel 2012, Google è riuscita in soli 4 anni a far sì che la metà (!) degli studenti americani usasse le sue piattaforme di e-learning (leggi qui). Con quali obiettivi? “Fidelizzare” i futuri consumatori (gli account scolastici sono facilmente trasformabili in account personali), accumulare dati personali per alimentare i propri algoritmi pubblicitari, ma anche promuovere una formazione funzionale alle esigenze del mercato del lavoro (l’apprendimento digitale non si presta solo all’alfabetizzazione informatica dei futuri lavoratori, ma anche allo sviluppo delle “competenze trasversali” sempre più richieste dai datori di lavoro!). Dietro a quella che spesso viene descritta come una generosa filantropia, si cela dunque un pesante intervento privato volto a gonfiare i propri profitti! Fortunatamente in Ticino è principalmente in uso Moodle (una piattaforma open-source), ma non mancano i casi in cui vengono utilizzati programmi come Microsoft Teams o Zoom, dove è peraltro comprovata la raccolta di dati personali – anche se non si possiede un account! – poi condivisi con Facebook (leggi qui). Occorre quindi tenere alta la guardia!
Digitalizzazione è sinonimo di democratizzazione?
Già nel 1998, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE), uno dei maggiori centri del capitalismo globale, scriveva che “lo sviluppo di differenti fonti d’informazioni e conoscenze provocherà un rapido declino del monopolio degli istituti scolastici nel campo del sapere (…) L’individualizzazione più marcata dei metodi d’apprendimento (…) annuncia il declino conseguente del ruolo degli insegnanti, testimoniato anche dallo sviluppo di nuove fonti d’apprendimento, in particolare attraverso le nuove tecnologie informatiche” (leggi qui, p. 37). Come ben sappiamo, il venire meno della scuola pubblica e degli insegnanti non vuol però affatto dire maggiore libertà per gli studenti, ma al contrario una riduzione del loro diritto allo studio! Coloro che provengono da una famiglia agiata avranno sicuramente i mezzi per istruirsi come e meglio di prima, mentre gli studenti provenienti da famiglie sfavorite avranno maggiori difficoltà, proprio a causa della rimessa in discussione di un’istituzione universale e democratica come la scuola pubblica e del ruolo degli stessi insegnanti, chiamati proprio a sostenere ed aiutare gli studenti con maggiori difficoltà. Queste settimane stanno già dimostrando come l’insegnamento a distanza, individualizzato e digitalizzato, rischia seriamente di incrementare le disuguaglianze sociali in ambito formativo: non tutte le famiglie hanno sufficienti computer, tablet e stampanti per i propri figli, e spesso nemmeno il tempo di seguirli ed aiutarli nello studio! L’utilizzo su larga scala delle nuove tecnologie nell’educazione, invece di “democratizzare” l’accesso al sapere, potrebbe dunque provocare un forte ampliamento delle disuguaglianze sociali fra studenti ricchi e poveri.
Attenzione ai rischi per la salute e lo sviluppo!
Occorre infine considerare anche i rischi per la salute e per lo sviluppo psico-fisico degli studenti. Non mancano infatti gli studiosi che denunciano i rischi di un’esposizione prolungata a smartphone, tablet, PC ecc., specialmente ad un’età in cui si è ancora in pieno sviluppo! Disturbi relazionali, dell’attenzione, del linguaggio e del sonno, irritabilità, stress e obesità sono tutti fenomeni di cui è comprovato il legame con l’abuso di tecnologie digitali e c’è chi arriva a parlare di vera e propria “demenza digitale” (leggi qui). In queste settimane di “scuola a distanza” numerosi studenti sono stati sommersi di compiti, esercizi e videoconferenze, ma in pochi si sono purtroppo chiesti quali conseguenze potesse avere costringerli a rimanere per ore di fronte ad uno schermo (invece che permetter magari loro di leggersi un bel libro…). Non va poi dimenticato il rischio di attribuire eccessiva fiducia all’enorme disponibilità d’informazioni disponibili sul web: al di là della perenne incertezza relativa alla veridicità del tal fatto o della tal notizia (anche quando a riportarla è una testata “degna di fiducia” come sono spesso dipinti i media mainstream), non bisogna cadere nel tranello di credere che, avendo sempre Google a portata di mano… non sia più necessario imparare nulla! Al contrario, compito della scuola è quello di fornire una cultura generale a tutti i cittadini e dar loro degli strumenti per interpretare con coscienza e senso critico la realtà che li circonda: altrimenti perché andarci, se c’è già tutto su internet?
L’uso delle nuove tecnologie in ambito scolastico non va demonizzato: esso è sicuramente ricco di opportunità e nell’attuale situazione ne abbiamo potuto vedere tutta l’utilità; i rischi sono però altrettanto importanti. Non occorre dunque bloccare lo sviluppo tecnologico, bisogna però avere coscienza degli interessi che lo guidano così come dei pericoli che lo contraddistinguono. Non vogliamo che l’attuale situazione venga usata come pretesto per spalancare le porte della scuola pubblica alle multinazionali digitali, con il rischio di incrementare le disparità sociali e di compromettere lo sviluppo di un’intera generazione di studenti: non mancheremo quindi di seguire da vicino i prossimi passi del DECS!
Zeno Casella
Questo articolo è apparso nell’8° numero de L’Altrascuola (speciale coronavirus), pubblicato nel maggio 2020. Leggi qui il numero integrale.