Pochi giorni fa il notiziario statistico del Dipartimento delle Finanze e dell’Economia (DFE) ci ha dato ancora una volta conferma del crescente disagio cui sono confrontate le famiglie ticinesi di reddito medio-basso: esse hanno infatti sempre più difficoltà a conciliare il lavoro con la famiglia, non riuscendo a trovare delle soluzioni sostenibili per la custodia dei figli.
Come ci mostra il grafico sottostante, 2 su 3 dei nuclei familiari con un reddito minore a 4’000 franchi non ricorrono a nessun tipo di servizio di custodia (formale o informale che sia), mentre per le famiglie con un reddito superiore agli 8’000 franchi questo dato corrisponde a poco più di una su 5!
Ancora una volta vengono confermati i timori del SISA in merito ad un’ulteriore crescita delle disuguaglianze nelle opportunità di formazione: la selezione sociale da noi denunciata a più riprese viene già imposta fin dai primissimi anni di vita di un bambino!
Per le famiglie con una difficile situazione economica e/o con un passato migratorio alle spalle, diviene impossibile assicurare un sano e completo sviluppo ai propri figli: la micro-individualità, il primo approccio con la lingua italiana e con dei coetanei, lo svezzamento dal grembo materno per entrare in uno spazio di apprendimento formale, sono tutti aspetti che questi bambini si vedono preclusi unicamente per “colpa” di essere nati in una famiglia povera.
Alcuni dei momenti fondamentali del percorso di apprendimento e sviluppo dei bambini vengono quindi legati a doppio filo alla disponibilità economica dei genitori, costringendo i meno fortunati ad iniziare la propria vita già in svantaggio rispetto ai propri coetanei più benestanti!
Un quadro a dir poco preoccupante!
Il DFE, al termine dello studio, propone un intervento sulle tariffe che ci soddisfa molto, in quanto potrebbe davvero permettere di correggere questa grave ingiustizia:
“Una riduzione delle tariffe o l’introduzione dell’obbligo di adottare tariffe proporzionali al reddito per i nidi – come avviene in altri cantoni – faciliterebbe l’accesso anche per le famiglie con redditi meno elevati e farebbe aumentare la domanda, favorendo verosimilmente l’occupazione femminile”.
Purtroppo però, rimaniamo particolarmente scettici nei confronti di una sua reale applicazione: se il DFE (e il Consiglio di Stato stesso) fossero davvero intenzionati ad agire per equilibrare le gravi discriminazioni sociali presenti tra le famiglie ticinesi, come si spiegano i continui risparmi compiuti nella politica familiare?
Ricordiamo, a titolo d’esempio, la recente richiesta di rivedere al ribasso gli importi degli assegni familiari integrativi (AFI) e di prima infanzia (API), inserita nella manovra di rientro finanziario presentata ad aprile (che permetterebbe un risparmio di ben 6 milioni sulle spalle delle famiglie in difficoltà).
Auspichiamo quindi che il Consiglio di Stato, e soprattutto il Gran Consiglio, non diano seguito a questa riforma e che anzi si impegnino a fondo per ampliare l’offerta pubblica di asili nido e di servizi di custodia a tariffe accessibili e per sostenere finanziariamente le famiglie che necessitano di aiuto.