In questo anniversario della contestazione studentesca, si sprecano le commemorazioni degli eventi verificatisi 50 anni or sono, ripercorsi sotto numerosi punti di vista e con vari approcci differenti. Lungi da noi il voler quindi tracciare l’ennesimo ritratto agiografico o denigratorio del Maggio francese o dell’Autunno caldo italiano: quello che ci interessa piuttosto fare è una ricognizione storica sugli episodi di contestazione svoltisi nella Svizzera italiana tra il 1968 e il 1977, anni di particolare fervore nelle scuole del Cantone. Le esperienze e le vittorie maturate in quel periodo potrebbero infatti suscitare un particolare interesse tra i militanti studenteschi del 2018, come il lettore potrà constatare da sé.
Il contesto in cui prese avvio la contestazione studentesca in Ticino era per molti versi simile a quello del resto d’Europa: al culmine della fase di forte e stabile crescita economica (i cosiddetti “30 gloriosi”), i mutamenti economici e sociali del dopoguerra provocarono crescenti tensioni a livello generazionale, politico e scolastico. Il rigetto del paternalismo e dell’autoritarismo, il rifiuto delle logiche clientelari e consociative che regolavano la vita politica e l’opposizione a metodi d’insegnamento cattedratici e nozionistici furono tra le principali espressioni del disagio della generazione del “baby boom”, le cui aspettative, nutrite dal forte benessere di quei tempi, erano state in buona parte disattese.
La tensione esplode nel 1968 alla Magistrale di Locarno: la protesta contro i metodi d’insegnamento (ritenuti antiquati e inadeguati ai nuovi tempi), i disagi del convitto e gli intrighi politici nella scuola (il direttore Carlo Speziali è al contempo sindaco di Locarno), unita all’influenza dei moti studenteschi delle università italiane, sfocia nell’occupazione dell’aula 20. Per 4 giorni, centinaia di studenti si riuniscono per discutere dei problemi della scuola e per stendere una “Carta rivendicativa” che verrà poi inviata al Governo cantonale. Malgrado l’ondata repressiva senza precedenti scatenatasi l’autunno successivo, l’occupazione permette di ottenere alcune prime riforme della scuola e la nomina di un nuovo direttore.
Dopo alcuni anni di relativa calma, la contestazione torna a farsi sentire nel 1974 al Liceo di Lugano: in marzo, dopo aver votato una risoluzione richiedente “l’abolizione di qualsiasi forma di controllo delle assenze da parte della direzione”, gli studenti sequestrano i registri ufficiali dalla segreteria e distribuiscono dei registri autonomi. Nonostante l’aggressiva campagna di stampa e la denuncia da parte della direzione, il movimento si estende e viene convocata una Assemblea cantonale degli studenti che dichiara la lotta “contro la repressione, contro la selezione e per il riconoscimento dell’assemblea come unico organismo decisionale degli studenti”. L’escalation si verifica quando due allievi vengono sospesi per “ripetuto uso del megafono”: l’assemblea del 16 maggio viene interrotta da 50 agenti di polizia che sgomberano il Liceo con la forza. La risposta non si fa attendere: il giorno successivo oltre 1000 persone sfilano a Lugano “per la libertà d’espressione e contro il clima di terrore”. Il 7 giugno il Consiglio di Stato riconoscerà ufficialmente l’Assemblea come organo deliberativo degli studenti.
Tuttavia i movimenti di protesta, specialmente in seguito alle prime avvisaglie del rallentamento economico (la prima crisi petrolifera scoppia nel 1973), si rivolgono anche verso il mondo del lavoro. Nel 1975, gli apprendisti del centro professionale di Trevano occupano la mensa per discutere del problema della disoccupazione post-diploma, riuscendo a farsi garantire dal padronato 6 mesi di lavoro nella stessa azienda dopo la fine degli studi. Nel 1977, saranno gli studenti delle Magistrali di Lugano e Locarno a scioperare contro l’inattività del Cantone riguardo la crescente disoccupazione magistrale.
Se si volesse tracciare un bilancio della contestazione studentesca in Ticino, andrebbero presi in considerazione tanto i pregi quanto i limiti dei movimenti che l’hanno animata. Se da un lato le lotte intraprese hanno permesso di ottenere importanti riforme dell’organizzazione scolastica (una su tutte il riconoscimento dell’assemblea studentesca), dall’altro la mancanza di una struttura organizzativa stabile ha impedito il trasmettersi delle esperienze maturate da una generazione all’altra. La storia non si fa coi se, ma ci si può legittimamente chiedere cosa sarebbe successo se un’organizzazione come il SISA fosse nata già in quegli anni…
Zeno Casella
Questo articolo è apparso nel 5° numero de L’Altrascuola, pubblicato nel mese di settembre del 2018 (leggi qui l’intero giornale).
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